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La maldicenza è un serpente dalla lingua biforcuta

La maldicenza è un serpente dalla lingua biforcuta.

Diceva bene Aristotele quando in uno dei suoi lasciti disse che “il serpente ha la lingua biforcuta, ha due punte, tale e quale è quella del maldicente, che con un sol morso ferisce e avvelena l’orecchio di chi ascolta e il buon nome di colui di cui parla male”.

 

Il termine maldicenza deriva dal latino “maledicentia” che significa “sparlare di…, parlar male di…; oltraggiare; ingiuriare”, ci rammenta che parlare male del prossimo non è un innocuo passatempo, piuttosto una faccenda estremamente grave che può avere conseguenze pesanti.

Non ti parlo, ovviamente, della maldicenza scherzosa, quell’attività briosa e divertente che puoi condividere con un amico per alleggerire e sdrammatizzare una situazione, ma di quella maligna, diretta a danneggiare in ogni modo chi ne sia l’oggetto.

Nel Medioevo la maldicenza era annoverata tra i peccati commessi con la lingua. Era considerata un peccato grave equivalente alla menzogna, allo spergiuro e alla bestemmia.

Oggi, i peccati della lingua, sotto il pretesto di essere giustificati dalla volontà di denunciare un male reale o presunto, sono spesso spacciati per virtù. Alle persone piace tanto assumere il ruolo di cavalieri senza macchia e senza paura, tirar fuori scheletri dagli armadi altrui, denigrare la pagliuzza nell’occhio del prossimo senza vedere la trave che sta nel proprio.

Parlare male o alle spalle degli altri è diventata una vera e propria abitudine sociale malsana.

L’atteggiamento giudicante della maldicenza denuncia la presenza di invidia, di una sostanziale incapacità di pensare in modo positivo, di una forma di risentimento che aleggia nell’anima e di un persistente disinteresse nei confronti di ciò che pensano gli altri.

 

La potenza della maldicenza, come costante antropologica, attraversa la storia dell’uomo e ha sempre riguardato ogni fascia sociale e ogni civiltà.

La verità è che ormai la maldicenza non si limita alle chiacchiere delle vecchiette di paese che siedono all’esterno delle loro abitazioni nelle lunghe serate d’estate trascorrendo le ore con pettegolezzi ad ogni giro di uncinetto. La maldicenza è una piaga che non ha mai risparmiato anche i grandi centri abitati ed è una pratica sempreverde che, ormai, ha conquistato le pagine del web e dei social.

cyberbullismoInsomma, anche la maldicenza si è adeguata all’evoluzione tecnologica facendo un salto di qualità incredibile. Ovviamente, in questo caso, la parola qualità è assolutamente ironica e non ha di certo un’accezione positiva, anzi tutt’altro.

Mentre in una discussione face to face puoi bloccare il flusso di negatività proveniente dalla maldicenza, nel mondo digitale questo non è possibile con il risultato che la reputazione di chi ne è vittima affonda inesorabilmente con un click.

Spesso, il popolo del web sparla e getta discredito solo per conformarsi alla massa e per soddisfare il bisogno di sentirsi accettati. Fenomeni come cyberbullismo, mobbing e anche stalking sono figli digitali della maldicenza, cavalcati sui social network con impatti devastanti e con effetti a volte drammatici.

Mentre un tempo la chiacchiera maligna restava quasi sempre nel contesto in cui era nata; la diffamazione e la calunnia erano bisbigliate, mormorate, instillate nell’orecchio del vicino di casa, dell’amico, del partner, del conoscente di turno; al giorno d’oggi, con le tecnologie digitali, le calunnie corrono sulle fibre ottiche e lì restano in maniera permanente come sfregi incancellabili.

 

Come direbbe Eduardo nella sua metafora illuminante, la maldicenza non è più il venticello che soffia, ma è un uragano che può disintegrare la reputazione di una persona anche se parte dalla più stupida delle bufale presenti nel web. Insomma, la potenza denigratoria della maldicenza è stata amplificata all’ennesima potenza dalla rivoluzione digitale.

Ogni giorno i media e i social danno in pasto alle folle delle persone sotto il pretesto di una presunta adesione a un principio di verità universale alquanto discutibile. Poiché ormai ciascuno è invitato a rilasciare le proprie opinioni su qualsiasi argomento, si tende a giudicare ciò che non si conosce esponendo in pubblico le (presunte) mancanze del prossimo. Si diventa così delle casse di risonanza involontarie di ogni gossip, chiacchiera e pettegolezzo.

Questa forma di inconsapevolezza è disarmante: non ci si domanda minimamente quali possano essere gli effetti esponenziali delle parole utilizzate, spesso scritte con leggerezza e nessun discernimento.

Insomma, un mare di parole dette per dar aria alla bocca e per un appagamento effimero di sentirsi migliori di altri. Eppure quel mare di parole può avere l’effetto di uno tsunami e distruggere la reputazione di un altro essere umano.

 

Ecco che le parole possono essere pietre in grado di diventare macigni. 

Nella sua Filotea, San Francesco di Sales scrive parole che risuonano di profonda verità: “Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti; uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla”.

Perciò l’invito è quello di “non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né indirettamente, stando attenti a non attribuire delitti e peccati inesistenti al prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi devi sminuirlo a parole […]”.

Una rappresentazione cinematografica del potere distruttivo delle parole maldicenti, si trova in un film francese del 1943, dal titolo “Le Corbeau”. Questo pellicola passò alla gogna per presunte simpatie filonaziste e fu posta ingiustamente sotto sequestro fino al 1947.  

La scena del film si svolge in un piccolo paese della provincia francese dove la comunità è allarmata per la presenza di un misterioso personaggio, “Il Corvo”, che scrive lettere anonime dove spiffera in maniera implacabile – in un crescendo di sospetti e di scandali, che provocheranno anche un suicidio – le pecche e le magagne dei suoi concittadini.

Pettegolezzi di provincia a parte, resta il fatto che la questione messa a fuoco dal regista francese era, ed è, di una attualità sconcertante.

Parlare male del prossimo, infatti, è un’attività che piace a un gran numero di esseri umani; anzi, quasi a tutti.

Perché parlare male del prossimo è un piacere?

Non esiste una risposta a questa domanda. Per alcuni parlare male degli altri è un piacere e basta, come lo è annusare l’odore della salsedine del mare, bere un bel bicchiere di acqua fresca, respirare l’aria di montagna.

Personalmente, ho notato che la maldicenza ha in sé il seme della compulsività. Si tratta di un vero e proprio impulso ingovernabile che fornisce a chi la pratica un piacere transitorio assimilabile a quello del soddisfacimento di un qualsiasi altro bisogno primario. Una sensazione di soddisfazione sottile che deriva dalla convinzione di essere nel giusto, di dire la verità, di essere onesti.

Ovviamente, sono tutte cazzate che servono a colmare la voragine del male che si sta compiendo.

La maldicenza e le calunnie sono sempre alimentate da un profondo complesso di inferiorità e senso di inadeguatezza. Spesso il movente è l’invidia, la competizione o la volontà di annientare l’altro.

 

La maldicenza è un serpente dalla lingua biforcuta. E’ una forma di vampirismo energetico proprio perché contiene in sé intenzionalità: l’intento è quello di far sentire la vittima impotente, debole, indifesa.

Tralasciando qualsiasi considerazione giuridica sul concetto di calunnia e di diffamazione, ricordandoti, comunque, che il nostro ordinamento li assimila a un vero e proprio reato, voglio darti qualche suggerimento che può contribuire a ridimensionare l’impatto emotivo della maldicenza nel caso tu sia fra i destinatari di questa triste pratica.

 

Accetta il fatto che non puoi essere amato da tutti.

Trattandosi di una vera e propria forma di vampirismo energetico, anche in questo caso, è valida la regola del drenaggio, per cui “più emozioni negative si provano più energia si cede”. Considera che qualsiasi reazione di rabbia e frustrazione alimenta la situazione e il tuo malessere (rimuginio mentale, disturbi fisici, emozioni negative e via dicendo).

Come spezzare questo loop perverso ed evitare che questo accada?

Osservandoti. Più riuscirai ad essere presente a te stesso, più sarai in grado di individuare i “tasti emotivi” che scatenano quelle emozioni negative che ti portano a cedere energia. Pensa che ogni volta che ti arrabbi ti stai letteralmente dando in pasto al vampiro.

Se non puoi fare niente dal punto di vista materiale, è importante che lavori sui tuoi pensieri. Il logorio della mente è molto deleterio e, alla lunga, ti porta a sperimentare impotenza e frustrazione.

 

È fondamentale che tu tenga sotto controllo il più possibile le tue reazioni.

Per sostenerti puoi condividere quello che provi con degli amici sinceri senza cadere nella lamentela. Questo passaggio serve a farti sentire meno fragile e solo nell’affrontare la questione.

Il distacco e l’indifferenza sono utilissimi per rovinare la festa a chi sparla di te.

Sii onesto ed esamina i tuoi comportamenti e se, ripensandoci, individui qualche mancanza o errore da parte tua, modifica o correggi il tuo atteggiamento, senza però cospargerti il capo di cenere.

Cerca di sdrammatizzare in tutti i modi ciò che accade. Inizialmente, non sarà facile, ma sviluppando un approccio più distaccato alla faccenda, con il tempo, comincerai a percepire la questione diversamente.

Infine, valuta se è il caso di affrontare vis à vis l’autore della maldicenza che è stata fatta su di te. Molto spesso il confronto diretto causa disagio all’interlocutore perché lo mette di fronte alle sue bugie e alla sua povertà d’animo.

 

Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei. Quindi: vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore: ciò che vuoi. La vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Quindi: canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi.

(Charlie Chaplin)

 

Concludo invitandoti a non dare seguito a pratiche di maldicenza anche per una questione di “prossimità” con gli altri.

Se esiste un’anima universale, esiste anche una fratellanza universale. Corollario di questo fatto è che tutti gli esseri viventi sono legati fra loro da un vincolo potente. Il vincolo è che ognuno è “prossimo” per l’altro. Non si tratta di un precetto religioso, spirituale o morale. Puoi rifiutare questo principio, ma sappi che esiste indipendentemente dalle tue convinzioni personali.

Quindi, se ognuno è il tuo prossimo e tu se il mio prossimo, allora ti sarà facile comprendere perché sparlare e compiacersi di gettare discredito sugli altri, non è una cosa buona e giusta.

 

Nuocendo all’altro, nuoci a te stesso: avveleni la tua vita e la tua anima.

Sono convinta che la maldicenza ha origine in una ferita collettiva dell’anima umana, che, in questo caso, la rende più disposta al male. Questo fatto, comunque, non ci sottrae (tutti!) dal dovere di lavorare su noi stessi, per migliorarci e andare oltre al richiamo di un istinto primario che, sostanzialmente, è un’eredità del cervello rettile.

È proprio il caso di dire che Aristotele aveva colto nel segno.

18/11/2020

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